Lungo il sentiero della memoria

La marcia in ricordo delle vittime innocenti di mafia tra i sentieri dell'Aspromonte, simbolo di speranza contro la 'ndrangheta.

22 luglio - Dopo alcuni anni di sosta, dovuti alla pandemia e alle pessime condizioni che rendevano la strada inagibile, è stato possibile tornare a camminare tra i boschi di San Luca, per raggiungere Pietra Cappa.

Ai piedi del monolite è stato ritrovato, 19 anni fa, il corpo del fotografo  Lollò Cartisano, sequestrato  il 22 luglio del 1993 a Bovalino. Una lettera anonima inviata alla famiglia dal suo sequestratore, dieci anni dopo l'accaduto, ha permesso l'insperato ritrovamento.

Da allora, ogni anno si marcia lungo la via di quei sentieri, ricordando Lollò e le altre vittime innocenti della violenza mafiosa.

Ad accogliere la gente in cammino è Deborah Cartisano, figlia di Lollò che sorride ai presenti: i familiari delle vittime innocenti, tanti giovani, sindaci, il prefetto di Reggio Calabria , don Luigi Ciotti e diversi gruppi dell'associazione Libera, tra cui i soci ed i dipendenti della cooperativa Valle del Marro - Libera Terra. Dal 2005 la cooperativa sociale coltiva le terre confiscate alle mafie e le coscienze dei più giovani affinché tutti percorrano, con coraggio e fiducia, la strada della giustizia, della libertà e della vita.  L'uso sociale dei beni confiscati alla mafia è un modo per onorare la memoria delle vittime innocenti, e arginare quella mentalità che ha segnato il territorio con la perdita di tante vite umane, colpite mentre lasciavano nelle loro comunità un “segno di impegno”.

Nell'introduzione alla camminata Deborah afferma: “Non è vero che la ’ndrangheta non uccide più. Uccide ancora, ma in modo diverso. Ma noi alla ’ndrangheta continuiamo a dire di no”.

Per questo la marcia assume un significato profondo: non è soltanto il ricordare il nome delle vittime, ma è anche dare ad ognuna  “un luogo comune di appartenenza”, in un posto simbolico come l'Aspromonte.

Mimma, moglie di Lollò, da anni non poteva raggiungere quel luogo, dove erano stati ritrovati i resti di suo marito: un luogo che le appartiene, come appartiene a tutti gli altri familiari delle vittime innocenti che in ogni tappa, lungo il percorso a piedi di diverse ore, si sono fermati a raccontare la storia dei loro cari, con partecipata emozione.

Liliana Carbone  da tanti anni viene per ricordare il figlio Massimiliano, ucciso a Locri il 17 settembre 2004. Un delitto senza giustizia. “Non abbiamo il diritto ma il dovere di chiedere verità, perché è un dono per la comunità che è stata ferita”. Liliana conclude il discorso ricordando che “la carità si compiace della verità e gode della giustizia”  e invitando a non dimenticare suo figlio.

Altri familiari partecipano per la prima volta, come Franco Polito, anche lui senza verità e giustizia. La moglie Raffaella ferita gravemente il 13 luglio del 1990, dopo un tentativo di sequestro, è morta poi il 31 luglio. “Eravamo una famiglia felice”, ribadisce più volte tra la commozione.

Poi ancora c'è Letizia, che ha solo 16 anni, anche lei partecipa per la prima volta accompagnata dallo zio Vincenzo. Sua madre Maria Chindamo è scomparsa a Limbadi il 6 maggio del 2016 e da allora non si hanno più notizie di lei. La ragazza, nonostante tutto, sorride e dice: “ Mi dicono 'perché sorridi sempre?'. Io rispondo che sorrido perché voglio far continuare a battere il cuore di mamma”.

Testimonianze cariche di emozioni, che dovrebbero far aprire gli occhi e portare più persone possibili sulla strada della lotta contro le mafie e per la piena affermazione della giustizia sociale.

Ed a sottolineare l'importanza della lotta alle ingiustizie ci pensa don Luigi Ciotti, presidente di Libera, che nel corso della messa in ricordo di Lollò dice: “Non si può consentire che ci siano delle vite che offendono la vita degli altri”. Poi esorta dicendo:”non dobbiamo diventare complici, perché l’omertà uccide verità e giustizia”. E ricorda come l’80% dei familiari delle vittime non conosce la verità. Don Ciotti insiste: “da questo monte dobbiamo alzare la voce, c’è chi sa, c’è chi ha visto”. E infine accusa: “vedo tanta voglia di normalizzazione, anche sul tema delle mafie mentre invece, queste storie mordono le nostre coscienze, ci chiedono di fare di più, soprattutto oggi che i mafiosi si muovono meno con le armi e più coi soldi”.