La legge 109 del 1996 compie 26 anni

Il 7 Marzo di 26 anni fa entrava nell'ordinamento italiano la legge n. 109.

Un ulteriore scatto in avanti nella lotta alle mafie, e alla loro accumulazione di beni e ricchezze.

La legge nasceva dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, sulla linea indicata da Falcone e Borsellino (“Per vincere le mafie bisogna seguire i soldi”) e in continuità con la legge Rognoni-La Torre che aveva introdotto il sequestro e la confisca come misure di prevenzione patrimoniale (“Occorre spezzare il legame esistente tra il bene posseduto ed i gruppi mafiosi, intaccandone il potere economico”).

Nasceva qualche anno dopo che Libera aveva lanciato la petizione per chiedere l’utilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie. Fu raccolto un milione di firme a sostegno del disegno di legge: segno di una volontà diffusa di riscatto e di cambiamento, da Nord a Sud.

Oggi in tutto il Paese si contano quasi mille soggetti diversi impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata. L'antimafia sociale è entrata nel mondo rurale con il progetto Libera Terra, dove l'agricoltura non è solo un'azione di resistenza economica e sociale all'illegalità mafiosa, ma è anche resistenza all'appiattimento sia culturale che alimentare; resistenza alla violenza con cui vengono gestite le risorse naturali; resistenza alla scomparsa della biodiversità. Resistenza a qualsiasi forma di sviluppo che non sia equo e inclusivo.

Nel dossier “Fatti perbene” Libera non si limita a fotografare il positivo che è nato coraggiosamente e faticosamente sui patrimoni confiscati e restituiti alla collettività. Avanza alcune proposte urgenti per “fare un scatto in più”:

a) prevedere l’attuazione della riforma del Codice Antimafia del 2017 assicurando una gestione efficiente dei beni sin dalla fase del sequestro fino alla confisca definitiva, una maggiore celerità nelle procedure di destinazione e l’attribuzione di adeguati strumenti e risorse agli uffici giudiziari e all’Agenzia nazionale;

b) rendere il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati uno strumento di crescita e sviluppo economico per le comunità territoriali, tramite adeguate forme di progettazione partecipata e di collaborazione tra Enti locali e terzo settore;

c) aumentare la trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni, attraverso la piena e completa accessibilità alle informazioni riguardanti i beni confiscati, affinché sia da stimolo per la partecipazione democratica;

d) utilizzare una quota del Fondo unico giustizia, delle liquidità e dei capitali sequestrati e confiscati a mafiosi e corrotti per sostenere il percorso di destinazione e di assegnazione dei beni confiscati e promuovere forme di imprenditorialità giovanile, di economia sociale e mutualismo;

e) tutelare il lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate, sostenendo la rinascita di queste esperienze e la loro continuità produttiva, anche attraverso la costituzione di cooperative promosse dagli stessi lavoratori.

 Ancora tanto si può e si deve fare per applicare pienamente lo spirito della legge 109/96. Ma guardando il cammino finora compiuto, chiediamoci cosa sarebbero stati i territori, soprattutto quelli più problematici, senza l'azione incisiva di questa normativa.