Calabria, la cooperativa di Libera: "Stipendi equi e formazione: con gli immigrati vinceremo la 'ndrangheta"

La Repubblica.it 23 Aprile 2016
di Andrea Gualtieri

I ragazzi africani della tendopoli di Rosarno lavorano sui terreni confiscati ai boss. Il presidio antimafia della piana di Gioia Tauro: "Loro hanno quello che manca a noi calabresi: una mentalità senza condizionamenti"

Non hanno mai visto la rovesciata acrobatica di Pelè ma il finale della prossima partita, quella decisiva, lo immaginano proprio come quello del film "Fuga per la vittoria". E in fondo non chiedono nemmeno di essere portati in trionfo da una folla osannante: ai ragazzi africani di Rosarno basta la soddisfazione di dimostrare che possono competere alla pari con gli altri. E magari anche vincere. L'anno scorso lo hanno fatto: la squadra della tendopoli ha conquistato il primo posto nel campionato dilettantistico di Terza Categoria e una promozione epica. Adesso, nel campionato superiore, si lotta sul campo di calcio per non retrocedere. Dopo aver lottato, ogni giorno, per sopravvivere nelle tende e nelle baracche.

"Ma la battaglia più importante gli immigrati la stanno combattendo per la Calabria. E sarà quella che ci farà vincere contro la 'ndrangheta", assicura Domenico Fazzari. Lui è il presidente della cooperativa Valle del Marro, avamposto di Libera nella piana di Gioia Tauro. E mentre guarda i ragazzi della squadra di calcio lavorare ai frutteti confiscati alla 'ndrangheta si lascia sfuggire un sorriso: "Loro hanno quello che manca a noi calabresi: una mentalità senza condizionamenti. Non hanno paura di nessuno perché pensano a quello che si sono lasciati alle spalle. E non sono cresciuti sentendosi ripetere che è bene farsi gli affari propri". E poi sono determinati. Tanto da affrontare le notti nelle rabberciate tende assegnate sei anni fa dal ministero dell'Interno, come soluzione provvisoria dopo la rivolta di Rosarno. E da svegliarsi per andare a lavorare nei campi. E ancora, alla fine della giornata, da trovare la voglia e la forza di allenarsi seriamente sul campo di calcio.
La squadra è nata proprio nel ghetto: l'ha ideata il parroco della zona, don Roberto Meduri, e si chiama Koa per ricordare i cavalieri invocati nella Bibbia per liberare il proprio popolo. E un po' come nel film con Sylvster Stallone, è dal campo sportivo che, in effetti, per alcuni degli africani della piana di Gioa Tauro arriva la salvezza. Che non è una fuga ma un lavoro. "Li vedevamo arrivare e poi partire - racconta Fazzari - perché l'impiego nei campi era solo stagionale: il calcio li inseriva in una ordinarietà di vita ma non avevano nemmeno il tempo di abituarsi. E così abbiamo pensato che si deve dare loro la possibilità di trovare stabilità".

In questi giorni alcuni ragazzi della squadra stanno ripulendo gli agrumeti verdi sui quali si affaccia qualche piccolo fiore bianco. Quello che stanno lavorando è un terreno gestito dalla cooperativa Valle del Marro tra Polistena e i comuni vicini, a ridosso del confine che delimita i due regni criminali: quello di Rosarno da una parte, quello di Gioia Tauro dall'altra.

Giacomo Zappia, l'agronomo della cooperativa, ricorda con soddisfazione che la Valle del Marro, nata nel 2004, oggi coltiva oltre cento ettari confiscati ai potenti boss Piromalli, Molè, Mammoliti: "Si tratta di piantagioni che un tempo erano fiorenti ma poi sono state abbandonate per anni in attesa che diventassero definitivi i provvedimenti giudiziari. A noi tocca rigenerarle, a volte si devono estirpare le piante per collocarne di nuove. Ora 70 ettari sono ricoperti da ulivi, su 35 abbiamo agrumi, 5 li abbiamo dedicati ai kiwi". Quello dei frutti verdi è però solo un ripiego commerciale: "Le clementine sono produzioni di qualità e tipicità locali, ma sul mercato non le pagano più di 15 centesimi al chilo. Con i kiwi, almeno, si arriva a 50".

È il problema che denunciano tutti i produttori agricoli della zona. Ed è anche l'alibi usato per giustificare il lavoro sottopagato degli immigrati, vittime del caporalato e piegati dalla fame ad accettare pochi euro per una giornata di fatica nei frutteti. "A me però è andata bene: posso guadagnare una cifra dignitosa e mi insegnano pure i segreti per fare meglio questo mestiere e diventare qualcosa di più che semplice bracciante", racconta Gaye Mandieme, senegalese, chiamato dai suoi amici che cercavano un difensore centrale per la Koa e poi scelto per far parte di un primo gruppo di immigrati formati dalla Valle del Marro: sono stati 7 a ricevere una borsa lavoro, finanziata dalla Fondazione 'Il cuore si scioglie onlus' di Unicoop Firenze. E la Valle del Marro è entrata anche nella rete nazionale della campagna 'Buoni e giusti Coop', che promuove l'eticità nelle filiere ortofrutticole, imponendo a tutti i fornitori di prodotti agricoli di verificare le condizioni di lavoro nelle oltre settantamila aziende produttrici: "Non si può pensare di pagare pochi centesimi i prodotti che vengono dalla terra: è una questione culturale e qualcosa per fortuna sta cambiando", commenta Claudio Vanni di Coop.
"Ognuno degli attori deve fare la sua parte - rilancia Fazzari -. Nel 2010, quando esplose la rivolta di Rosarno, avremmo dovuto capire che questi ragazzi arrivati dall'Africa stavano trovando il coraggio di ribellarsi alla prepotenza criminale, lo hanno fatto nel modo sbagliato ma le loro richieste erano giuste. Quando abbiamo offerto agli africani un lavoro dignitoso, qui in Calabria c'è stato chi ci ha criticato. Ma lo hanno fatto anche quando abbiamo iniziato a coltivare i terreni tolti alla 'ndrangheta". Su quei campi, dieci anni fa, non c’era nessuno che volesse mettere mano: “La mattina arrivavo e mi facevano trovare teste di pesce davanti alla porta – racconta Marina Anile, una delle fondatrici della Valle del Marro -. Poi una notte il cancello è stato divelto e le attrezzature danneggiate. Le amiche mi chiedevano: chi te la fa fare?”. “Ecco – interviene Fazzari – questa è un’altra domanda che gli immigrati non si fanno mai. E la nostra terra ha bisogno di gente così”.