Sulle terre confiscate alla 'ndrangheta, prende il via la raccolta delle olive: innovazione, qualità e memoria

È iniziata da qualche settimana la campagna olivicolo-olearia della cooperativa sociale Valle del Marro – Libera Terra, che coltiva in biologico terreni confiscati alla ‘ndrangheta, nella Piana di Gioia Tauro, tra Oppido mamertina e San Procopio.

Quest’anno, a dare un’ulteriore spinta alla raccolta, è l’impiego di una nuova testata scuotitrice acquistata presso la ditta costruttrice di Nino De Masi, che ha già dimostrato la sua efficacia sul campo. È un braccio scuotitore più efficiente nel distacco delle drupe (scuote un numero maggiore di olive per pianta), consente un risparmio di tempo nella scuoiatura del singolo albero e, grazie al suo minor ingombro, riesce a raggiungere anche i rami più interni della chioma, agevolando i movimenti degli operatori. Un’innovazione che unisce produttività, ergonomia e sostenibilità, perfettamente in linea con la missione della cooperativa.

1 Raccolta olive 2025

A testimonianza della cura posta dalla Valle del Marro in ogni fase del processo produttivo, le prime analisi dell’olio extravergine mostrano un’acidità bassissima (0.2), indicatore diretto di una qualità elevata e di una limitata incidenza della mosca olearia, il temuto parassita dell’olivo. Anche se le rese quest’anno si mantengono contenute, la cooperativa continua a puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità, con un’attenzione particolare al rispetto dei ritmi della natura e all’impatto ambientale delle pratiche agricole.

Da quest'anno, l’olio extravergine Libera Terra si fregia della prestigiosa Indicazione Geografica Protetta (IGP) “Calabria”, un riconoscimento che ne attesta l’origine, la qualità e il forte legame con il territorio. Un traguardo importante, che valorizza il lavoro della cooperativa non solo sotto il profilo produttivo, ma anche culturale e identitario.

3 Raccolta delle olive 2025

Come ricordava Umberto Zanotti Bianco, grande meridionalista, “l’ulivo resta la principale sorgente di ricchezza di tutta la Calabria”. Nel 1910, insieme a Gino Malvezzi, firmava uno studio sull’Aspromonte occidentale in cui descriveva la Piana di Gioia Tauro come “una immensa foresta di ulivi colossali, cresciuti in lunghe file... intrecciavano i loro rami in un viluppo stranissimo e passionato”, accompagnando con la loro presenza millenaria ogni piega del territorio, fino a conferirgli “un carattere di solenne e quasi sacra bellezza”.

Un secolo dopo, quegli stessi paesaggi continuano a parlare. Ma se un tempo la raccolta poteva durare fino a primavera, oggi grazie a sistemi colturali più razionali e a tecniche moderne di allevamento e potatura, - pienamente adottate dalla Valle del Marro -, l’uliveto ha un aspetto più arioso e ordinato, la luce filtra tra le chiome e la raccolta si concentra nei mesi di ottobre e novembre. Una scelta tecnica ma anche qualitativa: se, come scrivevano curiosamente Zanotti e Malvezzi, qualche proprietario nel secolo scorso ritardava la raccolta per ottenere oli più fini, oggi è scientificamente provato che raccogliere in epoca precoce o invaiatura garantisce un prodotto più pregiato, ricco di polifenoli e antiossidanti naturali.

4 Raccolta delle olive 2025

“A differenza del passato, oggi la conoscenza agronomica e botanica dell’olivo è solida” – afferma Federica Zaccone, responsabile delle attività produttive -, e la Valle del Marro si avvale delle migliori pratiche innovative. Il suo modello si fonda sulla legalità, la responsabilità sociale, la tutela dell’ambiente e una visione dell’agricoltura biologica come bene comune.”

In un territorio dove la criminalità organizzata ha troppo a lungo soffocato ogni speranza di sviluppo, la cooperativa dimostra che è possibile produrre qualità, generare lavoro tutelato e restituire dignità a una terra che Zanotti Bianco e Malvezzi descrivevano come “uno dei più incantevoli paesi d’Italia”.

“Oggi, in un contesto ancora attraversato da contraddizioni e resistenze,” dichiara Antonio Napoli, uno dei soci della cooperativa, “il lavoro quotidiano di chi opera, con competenza, sugli uliveti confiscati rappresenta un segno concreto di riscatto sociale, economico e culturale, sicché la bellezza della Piana di Gioia Tauro non risiede solo nel suo paesaggio, ma anche nel coraggio e nella visione di chi ha scelto di coltivarla onestamente.”